CAMBOGIA, UN PAESE DALLE FORTI CONTRADDIZIONI

CAMBOGIA, UN PAESE DALLE FORTI CONTRADDIZIONI

CAMBOGIA, UN PAESE DALLE FORTI CONTRADDIZIONI

CAMBOGIA, UN PAESE DALLE FORTI CONTRADDIZIONI

La potenza di Angkor
oltre i killing fields 

La potenza di Angkor
oltre i killing fields 

La potenza di Angkor
oltre i killing fields 

La potenza di Angkor
oltre i killing fields 

In Cambogia, tra Capodanno ed Epifania

Dieci giorni intensi, pieni di contrasti, in una delle regioni più povere e martoriate del Sud Est asiatico. Un viaggio intenso tra le speranze di un paese giovanissimo dal futuro sempre più incerto.

Quando andare in Cambogia? 
Noi siamo andati tra Capodanno e l'Epifania, dal 27 dicembre 2011 al 9 gennaio 2012.

Come organizzare un viaggio in Cambogia?
Dopo aver come sempre studiato itinerario e siti per noi imperdibili, ci siamo appoggiati all'agenzia cambogiana Nanco Travel gestita dal gentilissimo signor Kan Lak.

Quale potrebbe essere un buon itinerario per visitare la Cambogia?
Noi abbiamo cercato di avere una panoramica del Paese focalizzata ovviamente sulla visita di Angkor ma cercando di scoprire anche un po' la costa e una spiaggia molto piccola e spartana, Bamboo Island.

Lo stopover ad Hong Kong

La Cambogia, e in particolare Angkor Wat, ci hanno sempre affascinato e quest’anno finalmente riusciamo a organizzarci. La stagione sembra perfetta, non troppo caldo e non troppo umido, l’ideale per girare il vasto sito dei templi e per passare qualche giorno di relax al mare.

Non ci sono voli diretti su Phnom Penh; vorremmo fare scalo a Bangkok e approfittare della sosta per fare i nostri soliti giri nella capitale thailandese ma i voli costano cifre proibitive.

Cambiamo quindi itinerario e facciamo scalo a Hong Kong, non ci siamo mai stati e pensiamo possa essere una buona occasione per avere un’idea della città.
Partiamo alle ore 12:20 da Malpensa con un volo Cathay

Arriviamo puntuali a Hong Kong all’alba, non dobbiamo ritirare il bagaglio quindi ci dirigiamo subito verso l’uscita. L’aeroporto è gigantesco, bello e pulitissimo. Prendiamo il treno veloce che ci porterà a Kowloon in venti minuti circa. Dai finestrini vediamo scorrere il panorama della città: mare, grattacieli altissimi, verdi montagne che digradano sul mare avvolte in una foschia densa.

"Hey there, this is the default text for a new paragraph. Feel free to edit this paragraph by clicking on the yellow edit icon" 

Scendiamo alla fermata all’interno di un elegante centro commerciale. È tutto pulito, ordinato, efficiente, moderno e chiaro, le scritte bilingui in caratteri cinesi e in inglese sono dappertutto.  Usciamo dal centro commerciale e ci ritroviamo in un enorme cantiere, gru e macchinari da fantascienza pongono le fondamenta di un nuovo quartiere avveniristico.

Ci addentriamo nelle viuzze intorno a Jordan Road dove ci sono molti negozi, purtroppo quasi tutti ancora chiusi. Per le vie regnano un ordine e una pulizia quasi maniacali: non c’è una carta per terra, le persone fumano e poi si fermano per buttare i mozziconi nei portacenere di cui sono dotati i cestini. Magari fosse così anche a Milano.

Quasi per caso ci imbattiamo in un mercato di frutta e verdura. Sulle bancarelle sono ordinatamente esposti frutti giganteschi, alcuni sconosciuti.

Siamo impressionati dalle dimensioni dei limoni e delle carote, non ne abbiamo mai visti di così grandi e ci chiediamo se siano naturali o in qualche modo geneticamente modificati.

Ci fermiamo curiosi davanti ai negozi dei macellai. I tagli di carne sono esposti all’aperto ma nonostante il caldo non vola una mosca e non si sente nessun cattivo odore. Stessa cosa davanti ai negozi di pesce fresco, così fresco che ancora guizza fuori dai contenitori.

Siamo particolarmente affascinati dalle farmacie, nelle vetrine ammiriamo il misterioso contenuto dei vasi di vetro, erbe radici frutti e altri oggetti strani che immaginiamo abbiano poteri miracolosi. Poco più avanti incontriamo il settore dei cibi pronti con esposti polli e anatre arrosto. Fa un po’ effetto vedere questi animali appesi per le zampe, sono arrostiti e hanno un aspetto un po’ “caramellato”.

Poco distante visitiamo il Tin Hau Temple, un tempio buddista formato da quattro stanzoni in cui bruciano enormi spirali d’incenso appese al soffitto. L’aria è davvero irrespirabile e la visuale è annebbiata dal fumo. Dall’alto pezzi di cenere cadono sulla testa dei visitatori. Tutto intorno ci sono i fedeli intenti a pregare e a lasciare offerte davanti alle statue o sugli altari.

Un signore cerca di spiegarci qualcosa ma non capiamo una parola di ciò che dice, anche se si sforza di parlare inglese. Pranziamo al caffè Mido, un tipico fast food di Hong Kong con un arredamento fermo agli anni ‘70. Adri assaggia la specialità locale, il tè con il caffè.

La nostra visita lampo a Hong Kong è già terminata e purtroppo è arrivato il momento di tornare in aeroporto e ci avviamo verso la stazione del treno. Giunti in aeroporto siamo vinti dalla stanchezza e dal fuso orario e ci accasciamo in attesa del volo per Phnom Penh.

Per le vie regnano un ordine e una pulizia quasi maniacali: non c’è una carta per terra, le persone fumano e poi si fermano per buttare i mozziconi nei portacenere

L'arrivo a Phnom Penh
Arriviamo a destinazione puntuali ma abbastanza provati.
All’aeroporto ci viene a prendere Kan Lak, il titolare dell’agenzia Nanco Travel con cui abbiamo organizzato il viaggio.

Non facciamo in tempo a salire sul van e a imboccare il vialone che esce dall’aeroporto che il furgone si ferma. Kan Lak ci informa che il motore ha qualche problema; ci fa scendere e aspettare finché il driver non sistema il guasto. Le cose vanno però un po’ per le lunghe e non abbiamo voglia di passare altro tempo qui in mezzo alla strada. Decidiamo quindi di prendere un tuk tuk e di farci portare in hotel, siamo in giro da un giorno e mezzo e desideriamo solo farci una doccia ristoratrice.

Alloggiamo al Princess Hotel, dove sistemiamo i conti con Kan Lak e dopo una veloce doccia usciamo subito. Giriamo un po’ nella zona del lungo fiume dove c’è molta vita, tanti locali belli affollati di turisti. Ceniamo al Metro Café, locale moderno di design sulle rive del Mekong.

Dopo cena ci rilassiamo finalmente con un massaggio, il primo di una lunga serie.

Nella zona del lungo fiume Mekong ci sono tanti bei locali affollati di locali e di turisti

L'esperienza del massaggio praticato da non vedenti

Sveglia alle ore 7:00 e pronti per la visita della città. Incontriamo il nostro driver: si sforza di parlare qualche parola di inglese ma purtroppo ha una pronuncia quasi incomprensibile e lui non capisce noi quando gli parliamo. Purtroppo siamo costretti a passare praticamente tutta la giornata senza dialogare... e per noi è un grande problema perché vorremmo fargli mille domande.

Visitiamo il Royal Palace, il palazzo reale al cui interno sorge la famosa Silver Pagoda che deve il suo nome al pavimento ancora oggi ricoperto di preziose tessere d’argento. Intorno al palazzo ci sono bellissimi giardini molto ben curati e all’interno degli edifici possiamo vedere numerose statue di Buddha.

Visitiamo poi il National Museum (dove sono raccolti importanti reperti soprattutto di epoca khmer) e il Wat Phnom (o Mountain Pagoda) un tempio buddista situato su un’altura verde con giardini curatissimi.

Proseguiamo poi verso il Central Market, un mercato coperto che vende oltre a paccottiglia di provenienza cinese, frutta, verdura e pesce. Rimaniamo impressionati dalle rane scuoiate ancora vive, non credo ai miei occhi quando le vedo muoversi e respirare a fatica. Orribile! Speravo almeno che fossero morte.

Verso mezzogiorno la partenza per Battambang
Attraversiamo la verde campagna di risaie e palme e sperimentiamo la guida dei locali. I cambogiani guidano come dei pazzi, vanno a una velocità folle in strade strette e sconnesse, affollate di carretti, motorini, biciclette e bambini che attraversano incauti. Ogni sorpasso è una scommessa. Decido che è meglio dormire, almeno non vedo.

Per pranzo ci fermiamo in ristorante all’aperto lungo la strada. Prendo una zuppa al cui interno trovo un inquietante “oggetto non identificato” di forma ovoidale e colore marrone, è molliccio, ha quasi la consistenza del tofu ma non sa assolutamente di niente. Non riusciamo a capire cosa sia (inutile chiedere spiegazioni all’autista), ma almeno non è cattivo.

Arriviamo a Battambang verso le 17:00 e alloggiamo al Khemara Hotel. Doccia veloce e poi subito alla ricerca di un massaggio. Andiamo al centro Seeing Hands, dove alcuni operatori non vedenti fanno i trattamenti e possono in questo modo provvedere al proprio sostentamento. È favoloso, credo proprio che sia uno dei migliori massaggi che abbia mai ricevuto.

Ceniamo al Gecko Cafè, che oltre a essere un locale molto carino è gestito da un’organizzazione che impiega giovani ragazzi e ragazze provenienti da famiglie povere. Qui i giovani, oltre ad avere un lavoro, imparano a preparare e a servire ottimi piatti.

I cambogiani guidano come dei pazzi, vanno a una velocità folle in strade strette e sconnesse, affollate di carretti, motorini, biciclette e bambini

Mine, ossa e teschi. Il triste ricordo di un folle regime

Oggi visiteremo Wat Banan. Si tratta di un tempio situato in una zona collinare poco distante da Battambang; per la sua struttura a 5 torri è considerato una sorta di prototipo di Angkor Wat, ma ovviamente molto più piccolo.

Per accedere al tempio vero e proprio dobbiamo salire una ripida scalinata, circondata da un bosco di sterpaglie. Dappertutto vediamo i rossi cartelli che avvisano della presenza di mine. La guida ci conferma che la zona di Battambang è una delle più minate e ci invita a camminare solo sui sentieri tracciati. Dall’alto del tempio si domina tutta la piana sottostante, risaie e palme a perdita d’occhio. Il tempio è purtroppo quasi in rovina, anche se abbastanza interessante come architettura. Lasciamo il tempio per andare a visitare le grotte di cui ci ha parlato il driver ma non riusciamo a trovarle, ci addentriamo un po’ nel bosco ma lasciamo perdere: ci sono troppi cartelli Danger Mines.

Proseguiamo poi verso Phnom Sampeau, situato anch’esso su un’altura. La strada per raggiungerlo è molto ripida e piena di buche. Il van riesce ad arrivare solo fino a un certo punto, poi proseguiamo a bordo di un motorino guidato da un ragazzo. Ci carica entrambi e schiacciati in tre sullo scomodo sellino il motorino arranca sui ripidi tornanti. Arrivati sulla sommità della collina ammiriamo il panorama della piana. Gironzoliamo un po’ nei dintorni e troviamo due pezzi d’artiglieria abbandonati, uno russo e l’altro tedesco.

Poco distante si trovano le Killing Caves of Phnom Sampeau, le grotte dove durante il regime dei Khmer Rossi venivano torturati e gettati ancora vivi i presunti nemici del sistema. Alcune di queste grotte sono ancora piene di ossa e teschi a triste memoria di ciò che accadde qui. Una scala scende ripida in mezzo al verde e conduce a una grotta dove troviamo una statua d’oro di Buddha sdraiato; poco distante all’interno di una teca di vetro sono conservati numerosi teschi e ossa delle persone uccise dai khmer rossi. Il luogo è considerato sacro ed è una meta di pellegrinaggio ma siamo gli unici visitatori stranieri e il monaco ci regala alcuni braccialetti gialli e rossi annodandoceli ai polsi.

Pranziamo in un “ristorante” lungo la strada. Nonostante l’aspetto molto spartano il cibo è buono e saporito. Cerchiamo di fare un po’ di conversazione con il nostro driver ma è impossibile; praticamente non parla inglese e ogni tentativo è vano.

Raggiungiamo le grotte dove durante il regime dei Khmer Rossi venivano torturati e gettati ancora vivi i presunti nemici del sistema

Il bamboo train a Battambang
Gironzoliamo un po’ sulle rive del fiume Sangker prima di andare alla fermata del Bamboo Train. Il Treno di Bambù è una sorta di “zattera” con un’intelaiatura di legno coperta da bastoni di bambù e dotata di due coppie di ruote a mo’ di bilanciere, collegate al motore tramite una cinghia, e viaggia su un binario unico collegando tra loro i villaggi che sorgono lungo la ferrovia. Il treno è utilizzato soprattutto dai contadini locali per spostarsi velocemente da un villaggio all’altro. Il binario è unico e i treni viaggiano in entrambe le direzioni, quando si incrocia un altro treno proveniente dalla direzione opposta la vettura con la minor quantità di merci o di persone si ferma e viene smontata e rimossa in pochi secondi, per poi essere velocemente rimontata dopo che l’altro treno è passato. Ci informano che su questa tratta transitano anche le normali vetture ma fortunatamente i treni cambogiani arrancano e difficilmente raggiungono velocità elevate.

Durante il tragitto ci divertiamo come bambini, sfrecciando veloci lungo canneti e risaie. Spesso incrociamo altri treni, a volte occupati da turisti altre da contadini e famiglie locali. Facciamo una sosta presso una sorta di stazione dove troviamo ad accoglierci una coppia di anziani e numerosi ragazzini. Giochiamo un po’ con i bambini che ci regalano monili e oggetti fatti con foglie di palma intrecciate. Adri li fa giocare con gli aeroplanini di carta e non so si divertono di più i ragazzini oppure Adriano.

Dopo un po’ rientriamo ripercorrendo in treno lo stesso percorso di prima e con l’auto rientriamo in hotel.

Da Battambang a Siem Reap in autobus
Ci svegliamo all’alba per vedere il sorgere del sole e poi verso le 9:00 andiamo alla stazione degli autobus per partire, destinazione Siem Reap. Dovremmo partire alle ore 10:00 ma non si capisce bene se l’autobus partirà in orario perché nessuno parla inglese. Ci sediamo e aspettiamo pazientemente mentre intorno a noi è un caos folle di gente che va e viene e di parole incomprensibili urlate nel megafono. Finalmente dopo aver chiesto informazioni a un’infinità di persone riusciamo a individuare il nostro autobus, saliamo e siamo gli unici stranieri a bordo. Davanti a noi c’è una ragazza cambogiana molto carina vestita come un manga e con un orso di peluche di grandezza quasi naturale che si tiene abbracciato per tutto il viaggio (l’ideale con questo caldo...)

Si parte e subito ci rendiamo conto che l’autista è folle: guida a una velocità pazzesca su strade molto trafficate e fa dei sorpassi che definire azzardati è veramente poco. Non mi stupisco che il numero di vittime di incidenti stradali abbiamo superato quello per le mine. A bordo c’è uno schermo che trasmette per tutta la durata del viaggio (circa 3 ore e mezzo) una sorta di musical karaoke tipico cambogiano. La ragazzina manga ha con sé un intero raccoglitore di cd e non appena uno termina è subito pronta con quello successivo.

Il paesaggio scorre davanti al finestrino abbastanza monotono. Le risaie e le pianure sono a perdita d’occhio. Ogni tanto incrociamo qualche villaggio costruito lungo la strada principale.

A metà strada facciamo una sosta in quella che dovrebbe essere una sorta di area di servizio. Il bagno tutto sommato è abbastanza normale (considerato il posto dove siamo), ciò che mi lascia basita sono le cucine del “ristorante”, buie sporche e puzzolenti. Accanto a noi una signora vende grilli e cavallette fritti. Adri è quasi tentato di assaggiarne uno ma poi vista la mia faccia desiste.

Sul pullman sale una ragazza molto vistosa, graziosa e molto sorridente, quasi ammiccante. Ovviamente si mette subito a chiacchierare con Adriano che affabilmente risponde alle sue domande. È curiosa e vuole sapere da dove veniamo, se ci piace la Cambogia, quali posti visiteremo. A sua volta Adri si dimostra interessato e le chiede di cosa si occupa. Lei con un candore straordinario afferma che va ai party. Fantastico, non pensavo fosse un lavoro!

A bordo del bus c’è uno schermo che trasmette per tre ore e mezzo di viaggio una sorta di musical karaoke tipico cambogiano

Capodanno a Siem Reap

Arriviamo a Siem Reap abbastanza presto. Alloggiamo al Golden Temple Villa Guest House, suggerito da amici che recentemente hanno soggiornato qui e si sono trovati bene. E in effetti il posto è carino e il personale è molto gentile, la camera è pulita con aria condizionata, televisione e frigobar.

In attesa che la camera sia pronta lasciamo gli zaini alla reception e visitiamo subito il mercato poco distante dove vendono begli oggetti di artigianato locale.

In attesa di festeggiare l’ultima notte dell’anno ci facciamo un bel massaggio e poi ci buttiamo nella mischia. Ceniamo in un ristorante all’aperto in una piazza poco distante dall’hotel; sembra più che altro un’affollata sagra paesana con grandi tavoli e sedie di plastica. Il cibo è ottimo e il prezzo davvero basso. Ai tavoli serve un travestito divertentissimo, sulla larga e muscolosa schiena porta grandi ali d’angelo, passa tra i tavoli in equilibrio precario sugli alti tacchi a spillo, servendo i piatti e ammiccando complice ai clienti.

In giro è il caos: gente dappertutto sia turisti che locali che girano urlano bevono e ballano. Una via del centro è stata chiusa al traffico e grazie a enormi altoparlanti che sparano musica assordante si è trasformata in una discoteca all’aperto. La gente balla ovunque travolgendo tutti e tutto. Siamo trascinati da una folla umana, grassi turisti abbrustoliti dal sole e sudati fradici ci urtano e si strusciano addosso in continuazione. La sensazione è abbastanza orribile ma l’atmosfera è comunque bella, tutti sorridono contenti e sembra che abbiano solo una gran voglia di divertirsi.

Non so come sia il costume locale per festeggiare il nuovo anno e quindi nel dubbio ho portato una bottiglietta di champagne con due cannucce. Verso mezzanotte ci avviciniamo alla zona dei fuochi d’artificio pronti per brindare. 3...2...1...scocca la mezzanotte! Auguri a tutti! Buon 2012. Effettivamente siamo gli unici a brindare e attiriamo gli sguardi curiosi di alcuni locali.

Ammiriamo per un po’ lo spettacolo pirotecnico, finché non ci rendiamo conto che i fuochi sono sparati quasi ad altezza uomo e diventano dei veri e propri proiettili vaganti. Ore 12:30 a letto.

La gente balla ovunque travolgendo tutti e tutto. Siamo trascinati da una folla umana

Lo spettacolo di Angkor con i templi nella giungla

Primo giorno dell’anno e inizio della visita al sito di Angkor Wat.
Sapevo che il sito era molto grande ma onestamente non immaginavo così immenso.

Incluso fra i patrimoni dell’umanità dell’Unesco, Angkor fu il centro dell’impero khmer fra il IX e XV secolo e oggi è uno dei maggiori siti archeologici del Sud-est asiatico. I templi principali catalogati dagli studiosi sono 72 e un migliaio quelli secondari; i templi più visitati si concentrano in un’area di circa 15 km per 6 km, ma l’area del Parco Archeologico di Angkor è molto più vasta e si estende su un’area di circa 400 kmq. In realtà gli studiosi del “Greater Angkor Project” hanno portato alla luce l’esistenza di un complesso urbano di più di 1000 kmq, una vasta area irrigata e coltivata a riso in grado in passato di sostentare la popolazione locale e di sostenere un sistema politico-religioso costituito dal governo centrale e dai templi.

Si accede al sito attraverso una porta, all’interno numerose strade asfaltate conducono ai singoli templi e ai siti di interesse. In alcune zone la vegetazione è molto fitta e anche qui è pericoloso addentrarsi a causa delle mine. Nonostante sia stato in gran parte sminato il sito presenta infatti ancora numerose insidie.

All’interno dell’area vivono numerose famiglie locali in abitazioni in legno, costruite a palafitta. I bambini sono numerosi e sono dappertutto, molti lavorano cercando di vendere ai turisti cartoline, sciarpe o braccialetti. All’ingresso e all’uscita dei templi è un assalto e spesso non si riesce a dire di no. Alcune bambine si rivolgono ai turisti con frasi inquietanti tipo “No money no honey”. I visitatori stranieri sembrano tutti abbastanza imbarazzati davanti agli sfacciati ammiccamenti delle ragazzine.

Il driver ci accompagna a fare il pass per i tre giorni e poi iniziamo la visita con il tempio Prasat Kravan, un tempio minore di piccole dimensioni formato da cinque torri con interessanti decorazioni all’interno.

Passiamo poi al Banteay Srei, un tempio molto piccolo ma considerato una vera e propria galleria d’arte per le meravigliose decorazioni, soprattutto le figure femminile.

Proseguiamo con Banteay Samre, abbastanza isolato rispetto agli altri e per questo oggetto di saccheggio durante i secoli. Il tempio è circondato da due alte cinte murarie.

Il tempio successivo è Baray e Mebon Orientale, sopraelevato rispetto al terreno. Ai quattro angoli si ergono quattro grossi elefanti. In origine era circondato da un baray, un lago artificiale, ed era raggiungibile solo con le imbarcazioni. Saliamo gli alti gradini sotto un sole cocente per ammirare da vicino le torri costruite con mattoni a quinconce. Sono ancora visibili i fori dove in origine vi erano decorazioni in stucco. Passiamo un po’ di tempo a fare fotografie e ad ammirare il tempio. Fortunatamente il sito è talmente grande che nonostante ci siano numerosi turisti nessuna visita è finora particolarmente affollata. Forse il caldo massacrante di mezzogiorno deve aver dissuaso molti visitatori. Torniamo all’auto stanchi e assetati.

In alcune zone la vegetazione è molto fitta e anche qui è pericoloso addentrarsi a causa delle mine. Nonostante sia stato in gran parte sminato il sito presenta infatti ancora numerose insidie

Visitiamo poi Pre Rup, un tempio montagna a pianta quadrata con doppia recinzione perimetrale, costruito su tre livelli con cinque torri a forma di loto. Dall’alto dell’ultimo livello il panorama è bellissimo e spazia lungo tutta la piana di Angkor. Siamo fortunati perché il cielo è limpido e azzurro, cosa abbastanza rara in questi climi così umidi.

Passiamo poi a visitare Ta Prohm, forse il più famoso e suggestivo tempio. Reso famoso dalle riprese del film Tomb Raider il tempio è in stile Bayon ed è quasi completamente immerso nella giungla, alcune aree sono quasi completamente distrutte dalla vegetazione che contribuisce a creare un aspetto molto misterioso e suggestivo. La pianta originaria è oggi difficilmente distinguibile a causa dei percorsi tortuosi che si è costretti a seguire per via dei numerosi crolli e delle radici gigantesche degli alberi (per lo più ficus strangolatori).

L’atmosfera è molto interessante, a volte inquietante soprattutto negli angoli più remoti e solitari, immersi nella giungla, quando dalla fitta vegetazione provengono versi e fruscii strani. Peccato solo per i numerosi lavori di restauro e per le impalcature che “disturbano” un po’ la vista.

Concludiamo la giornata con la visita a Banteay Kdei costruito sul bacino d’acqua Srah Srang. Si tratta di un tempio minore ma di grande interesse e suggestione, immerso nella vegetazione della giungla. La nostra visita è accompagnata dagli strani versi di alcuni animali che non riusciamo a identificare. Il tempio è in stile bayon, sormontato da una torre con facce scolpite sui quattro lati.

Siamo stanchissimi: a pranzo abbiamo mangiato solo un ananas e il caldo ci ha dato il colpo di grazia. Ceniamo al ristorante Cambodian BBQ. Ci portano a tavola una strana pentola con sotto la brace (con questo caldo è l’ideale), l’acqua per fare il brodo e i cibi crudi. Non sappiamo come procedere ma fortunatamente il tavolo accanto è occupato da alcuni locali e quindi copiamo quello che fanno loro. Cena ottima anche se non particolarmente adatta alle alte temperature.

I tempi in stile Bayon sono spesso immersi nella giungla. Molti muri sono quasi completamente distrutti dalla vegetazione, ma questo riesce a creare un aspetto molto misterioso e suggestivo

Angkor Wat, il più grande complesso religioso al mondo 

Oggi la visita è quasi interamente dedicata ad Angkor Wat, il più grande complesso religioso al mondo. Considerata la maestosità, abbiamo deciso di prendere una guida in modo da avere spiegazioni più precise e dettagliate.

Il tempio è di forma rettangolare, lungo circa 1,5 km per 1,3 km, circondato da un fossato ed è il principale esempio dello stile classico dell’architettura khmer. Il tempio montagna sorge all’interno del fossato, intorno si erge il successivo piano di gallerie concentriche decorate con bassorilievi di scene narrative, floreali o con apsara (figure di danzatrici).

Accediamo al tempio attraverso un ponte decorato con naga (figure di serpenti a sette teste) e attraverso una porta. Iniziamo la visita dalle gallerie, dove ci soffermiamo ad ammirare i bassorilievi che ricostruiscono le battaglie del re. Le gallerie sono collegate fra loro e sono così vaste che formano una sorta di labirinto.

Visitiamo il tempio dal livello più alto e iniziamo a salire. Purtroppo ci sono molti turisti e spesso siamo costretti a fare la coda per poter accedere alle scale, molte sono particolarmente ripide e bisogna procedere lentamente. Dall’alto si domina tutto il sito, peccato solo che oggi il cielo non sia limpido ma del tipico colore grigio delle zone caldo-umide. Adri è frustrato perché la luce grigiastra purtroppo penalizza le fotografie. Ma cerchiamo di godere della visita e giriamo in ogni angolo.

Ci spostiamo poi verso Angkor Thom, la gigantesca struttura al cui interno si trova il tempio Bayon. La costruzione è formata da torri quadrangolari scolpite con giganteschi volti che guardano il visitatore da ogni angolo. Il tempio è molto suggestivo, a volte ci sentiamo un po’ a disagio perché  abbiamo continuamente la sensazione di essere osservati. Anche qui le decorazioni dei bassorilievi sono straordinarie e non ci stanchiamo mai di girare e ammirare ogni anfratto.

Da qui procediamo a piedi lungo un sentiero all’interno della vegetazione per raggiungere Baphuon. La guida ci spiega che il tempio venne smontato e i pezzi catalogati con l’intenzione di procedere al restauro. Purtroppo però il regime dei khmer rossi ha bruscamente interrotto i lavori e la documentazione è andata perduta rendendo di fatto impossibile ogni tentativo di ricostruzione. I resti della costruzione giacciono abbandonati, ricoperti dal folto muschio e dalla vegetazione. Lungo un lato si può ancora intuire la sagoma di un Buddha sdraiato, di cui però è visibile solo la testa.

Visitiamo poi Phimeanakas, il palazzo celeste costruito a forma di piramide su tre livelli con scale molto ripide. Dall’alto il panorama è bellissimo, si domina tutta la piana circostante e più distante si scorgono i pinnacoli delle torri di Angkor Wat.

Terminiamo la visita con la Terrazza degli Elefanti e la Terrazza del Re Lebbroso.

Ripassiamo lungo la facciata di Angkor Wat per fare le ultime foto e poi rientriamo in albergo. Il caldo e l’afa ci hanno stancato parecchio ma un bel massaggio ci rimette in sesto.

"Hey there, this is the default text for a new paragraph. Feel free to edit this paragraph by clicking on the yellow edit icon" 

Oggi il driver ci porta a visitare alcuni templi minori nella zona di Roluos, alcuni dei quali sono i più antichi della civiltà khmer.
Visitiamo Lolei, piccolo e purtroppo molto rovinato. Più interessante il tempio Preah Ko, ben conservato con ancora nitide iscrizioni in sanscrito sulle porte.

Per ultimo visitiamo Bakong, un suggestivo tempio costruito all’interno di mura di cinta con statue di elefanti ai quattro lati. Oggi finalmente il cielo è limpido e azzurro e anche i colori dei templi risaltano illuminati dalla forte luce del sole.

Vistiamo anche Ta Som, considerato un tempio minore ma di grande suggestione. Piccolo e completamente immerso nella giungla ha molte parti “divorate” dalla vegetazione. Siamo gli unici visitatori e questo contribuisce a rendere ancora più interessante la visita.

Preah Neak Poan è poco distante ed è formato da un labirinto di gallerie e corti interne, alcune parzialmente distrutte. 
Preah Khan è l’ultimo sito che visitiamo e per accedervi dobbiamo percorrere una passerella di legno sopra uno stagno circondato dalla vegetazione. Non si tratta di un tempio bensì di un insieme di piscine e di vasche d’acqua.

Trovo che i templi visitati oggi siano molto interessanti e suggestivi, forse ancora di più di Angkor Wat. Ci sono pochissimi visitatori e questo contribuisce certamente a renderli ancora più affascinanti e misteriosi. L'atmosfera è davvero interessante. Ogni tempio e ogni costruzione hanno comunque un proprio fascino e una ricchezza artistica straordinaria.

I templi minori sono molto interessanti e suggestivi, forse ancora di più di Angkor Wat. Ci sono pochissimi visitatori e questo li rende ancora più affascinanti e misteriosi

La visita al villaggio galleggiante Chong Kneas

Lasciamo purtroppo definitivamente il sito per andare a visitare il villaggio galleggiante Chong Kneas. Dista circa una mezz’oretta in auto da Siem Reap. Il driver è costretto a procedere molto lentamente; la strada è stata infatti praticamente distrutta dalle recenti inondazioni che hanno messo in ginocchio gran parte del Sud-est asiatico. Iniziamo a vedere le prime case di legno a palafitta: il fronte affaccia lungo la via principale mentre il retro dà direttamente sulle risaie. Durante la stagione delle piogge il livello dell’acqua sale fino a lambire le case stesse.

L’accesso al villaggio galleggiante è a pagamento. Scopriamo che si tratta di una zona solo per turisti, anche se il villaggio è autentico e le persone ci abitano veramente.

Il villaggio sorge lungo le rive del lago Tonle Sap, il lago più vasto del Sud-est asiatico. È alimentato da numerosi immissari, tra cui anche il Mekong, ma solo nei mesi tra ottobre e giugno. Durante la stagione monsonica infatti, a causa delle piogge, le acque del fiume scorrono in senso opposto. La superficie del lago è quindi variabile: passa da 2500-3000 kmq della stagione secca a 10.000-20.000 kmq e la profondità passa da 2-3 metri fino a un massimo di 14 metri.

Per raggiungere il villaggio saliamo su una barchetta a motore guidata da un ragazzo e da un bambino che fanno anche un po’ da guide. Le abitazioni sono di due tipi: case galleggianti oppure barche-case. L’acqua è torbida e sporchissima. In effetti gli abitanti delle case galleggianti scaricano tutto nel fiume e nel lago, dai rifiuti ai propri bisogni. Il ragazzo ci spiega che per il primo tratto stiamo ancora navigando lungo il fiume, il lago vero e proprio si trova molto più avanti, quasi al limitare del centro abitato.

Tutto è galleggiante: il campo da basket, la scuola, il meccanico, il parrucchiere. Vediamo alcune ragazzine in divisa su una barchetta, probabilmente stanno raggiungendo la scuola.

Ogni tanto ci si avvicina una barca con un venditore ambulante di bibite o frutta. Tra questi una bambina a bordo di una grande tinozza di alluminio. Sembra dolcissima, ma ai suoi piedi riposa un lungo serpente. La bambina si dirige verso la nostra imbarcazione e prende fra le mani il serpente per mostrarcelo e farcelo toccare. Ovviamente si aspetta soldi in cambio. Io odio i serpenti e non ho nessuna intenzione di pagare per vederlo da vicino, tantomeno per toccarlo.

In un market galleggiante acquistiamo alcune confezioni d’acqua e di noodles da portare in dono alla scuola che visiteremo. Il ragazzo ci spiega che le scuole hanno sempre bisogno di donazioni; l’acqua soprattutto è particolarmente importante perché i bambini hanno la tendenza a bere quella del lago che è evidentemente contaminata.

Sul pontile c’è un’altra bambina con un lungo serpente indossato come se fosse una sciarpa. Si avvicina e io mi allontano. Risaliamo in barca e abbandoniamo le tranquille acque del fiume e navighiamo fino al limitare del lago vero e proprio. Fa paura: il lago è così vasto che non riusciamo a vedere la costa; le acque sono agitatissime e le onde sono enormi. Meglio non proseguire oltre.

Rientriamo verso il fiume per poi raggiungere la terraferma e l’auto.
Tornati a Siem Reap ceniamo in un ristorante khmer e gironzoliamo un po’ tra le bancarelle del mercato notturno.

Tutto è galleggiante: il campo da basket, la scuola, il meccanico, il parrucchiere. 

L’acqua è torbida e sporchissima: gli abitanti delle case scaricano tutto nel fiume e nel lago

Verso il mare, a Sihanoukville e Bamboo Island

Passiamo la mattina al mercato in attesa di trasferirci in aeroporto per prendere il volo per Sihanoukville. In aeroporto ci sono molto comitive di turisti russi, anche loro in attesa del volo per la costa. Il volo procede abbastanza tranquillamente tranne per qualche turbolenza dovuta alle nuvole. Il tempo sembra non promettere niente di buono, ma una volta atterrati ritroviamo il nostro sole.

Alloggiamo all’Orchidee Guest House. Sembra accogliente e carina, ha camere spaziose molto pulite e rimane a soli 5 minuti dal mare.

Ovviamente andiamo subito alla spiaggia di Ochheuteal. Il mare è abbastanza mosso e non facciamo il bagno. Ci concediamo però una passeggiata sulla spiaggia, una lunga distesa di sabbia finissima. Dopo qualche chilometro di buon passo decidiamo di rilassarci bevendo una birra in uno dei numerosi baretti. È arrivato il momento di goderci lo spettacolo del tramonto.

Concludiamo la giornata con una delicata cena in uno dei locali sulla spiaggia. Ne scegliamo uno con un enorme BBQ: un tonno gigantesco alla griglia e capesante al BBQ 11 dollari, bevande incluse. Fantastico!

"Hey there, this is the default text for a new paragraph. Feel free to edit this paragraph by clicking on the yellow edit icon" 

Oggi passiamo la mattinata in spiaggia in relax e attendiamo mezzogiorno, quando partirà la barca per l’isola di Koh Ru o Bamboo Island. Il sito di riferimento era http://koh-ru.com/ ma adesso non è più attivo :(

Portiamo con noi soltanto l’indispensabile e arriviamo puntuali al molo. Dobbiamo però aspettare che arrivi la barca sotto un sole cocente. Ci sono altri ragazzi in attesa e non appena la barca arriva saliamo (o meglio saltiamo) a bordo.

Il tragitto è abbastanza lungo, anche perchè la barca va pianissimo. Pazienza ci godiamo il panorama sugli scomodi sedili in legno. Finalmente attracchiamo. L’isola sembra molto bella.

La struttura è molto spartana ed è gestita da un gruppo di ragazze, alcune inglesi, altre americane e australiane. La prima impressione è che si tratti di una comune lesbo, un po’ hippy-fricchettona e un po’ punkabbestia (infatti girano anche un po’ di cani) che ha il suo quartier generale presso il bar, situato sulla spiaggia nel grande bungalow-reception-ristorante, punto di incontro e centro sociale dell’isola. Le ragazze sono effettivamente un po’ selvagge, piene di piercing e tatuaggi, ma molto gentili; ci consegnano la chiave del nostro bungalow (il numero 12, l’ultimo sulla spiaggia), ci danno gli orari di colazione, pranzo e cena e ci indicano dove si trovano i bagni e le docce comuni. Poco distante si trovano le casupole più grandi che ospitano i dormitori.

I bungalow sono tutti sulla spiaggia a pochi passi dal mare. Le strutture sono in legno e hanno una piccola veranda a cui è appesa un’amaca; all’interno c’è solo un letto (un cassone in legno) con la zanzariera.

Il posto è molto bello, senza fronzoli e completamente isolato. In giro poche persone e nessuno che fa caso a noi. Quello di cui avevamo bisogno.

Camminiamo un po’ sulla spiaggia e ci imbattiamo in un gruppo di ragazzi che fa campeggio libero; li vediamo procurarsi la legna per accendere il fuoco e per costruire le tende, girano con il machete e raccolgono noci di cocco. Constatiamo tristemente che i reality stile l’Isola dei Famosi hanno fatto un sacco di danni.

Tramonto da cartolina.

Ceniamo praticamente sdraiati sui cuscinoni pieni di sabbia e acari, divorati dai pappataci. Non c’è la luce elettrica ma quando inizia a farsi buio viene attivato un generatore che sarà poi spento durante la notte. Noi ci ritiriamo presto ma i fricchettoni vanno avanti tutta la notte a bere e fumare. Durante la notte sentiamo solo il rumore del mare.

Le strutture a Bamboo Island sono tutte in legno e hanno una piccola veranda a cui è appesa un’amaca; all’interno soltanto un un cassone in legno con la zanzariera

Secondo giorno a Bamboo Island
Sveglia all’alba. L'acqua è così calda che ci tuffiamo subito in mare e mentre facciamo il bagno vediamo sorgere il sole. Non abbiamo nemmeno bisogno di fare la doccia. Passiamo la giornata così in totale ozio: passiamo dal mare alla spiaggia al bar finché non arriva l’ora di cena.
Dall’oscurità arrivano alcuni fricchettoni già stanchi del campeggio libero e soprattutto credo molto affamati, vista la quantità di cibo che stanno ordinando al bar.

Ritorno a Sihanoukville
Oggi è il nostro ultimo giorno a Koh Ru. Sveglia all’alba, passeggiata sulla spiaggia e bagno. L’acqua è calda e bellissima. 
Facciamo colazione e aspettiamo che arrivi la barca. Insieme a noi viaggiano un gruppetto di fattoni selvaggi che iniziano a fumare canne già alla mattina alle 8:00.

Arriviamo a Sihanoukville dove alloggiamo ancora alla Orchidee Guest House. Posiamo subito lo zaino e con un tuk tuk andiamo alla spiaggia di Otres. Anche questa spiaggia è lunghissima e molto bella, forse un po’ più tranquilla rispetto a Ochheuteal perchè ci sono meno locali. L’acqua è calda ed è un piacere fare il bagno. Unico neo il vento che ci impedisce di stare sdraiati.

Ci rifocilliamo con il cibo delle venditrici ambulanti, degli ottimi spiedini di calamari alla brace e ananas pulito e tagliato. Siamo gli unici stranieri che mangiano dai venditori ambulanti, ma gli altri turisti non sanno quello che si perdono! Ottimi anche i frullati di ananas e cocco che servono i baretti sulla spiaggia, sono squisiti.

Devo ammettere che Sihanoukville è molto carina, dalle descrizioni che avevo letto sulle varie guide turistiche pensavo che fosse una località di casermoni piena di russi. Certo venire qui solo per fare una vacanza di mare non ne vale la pena, ma lo scopo del nostro viaggio era il sito di Angkor e abbiamo deciso di passare solo qualche giorno al mare per riposarci prima del rientro in Italia.

Purtroppo Sihanoukville non è solo famosa per le spiagge, sembra che sia anche il paradiso della malavita locale e straniera. Alcuni ricchi malavitosi russi hanno infatti investito molto nelle strutture turistiche della costa con l’appoggio del re e del governo. Proprio in questi giorni leggiamo sul giornale che il re ha graziato un noto criminale pedofilo russo nonostante fosse stato processato e condannato. Il criminale è infatti a capo di una grossa società immobiliare che sta costruendo grandi resort di lusso lungo la costa e la sua condanna avrebbe inevitabilmente compromesso gli investimenti.

Ceniamo ancora nel ristorante sulla spiaggia. Intorno a noi è un gran festeggiare, tutti i locali sono pieni di rumorosissime comitive che cantano, ballano e bevono fiumi di birra. I bambini stremati sono accasciati sulle sedie sdraio mentre gli adulti cantano al karaoke o sparano petardi ad altezza uomo.

In mezzo a tutto questo divertimento non possiamo ignorare bambini piccolissimi che girano tra i tavoli per recuperare un po’ di cibo e le bottiglie di plastica o le lattine, trascinandosi enormi sacchi neri dove custodiscono il loro “bottino”.

La spiaggia di Otres è lunghissima e molto bella, forse un po’ più tranquilla rispetto a Ochheuteal perchè ci sono meno locali

Phnom Penh, i killing fields e Tuol Sleng

Lasciamo Sihanoukville per ritornare a Phnom Penh. Il driver ci viene a prendere presto all’hotel e partiamo. Il viaggio dura circa 4 ore, passate praticamente in silenzio perchè il driver non parla inglese. Dopo qualche tentativo di conversazione lasciamo perdere. Guida da paura, sorpassa sui dossi mentre altre auto stanno già sorpassando. Come se non bastasse non cambia quasi mai marcia e fa praticamente tutto il viaggio in terza. Speriamo solo che il motore regga tutti questi chilometri.

Fortunatamente arriviamo sani e salvi a Phnom Penh. Andiamo subito a visitare i killing fields di Choeung Ek. Sappiamo che oggi la visita sarà particolarmente emozionante e impegnativa ma non volevamo ignorare una parte così tragica della recente storia cambogiana.

Choeung Ek è oggi un monumento alla memoria del genocidio. A uno sguardo superficiale sembra solo un grande giardino, circondato dalle risaie e dagli alberi da frutto. Si tratta invece di uno dei più noti killing fields in cui il regime dei Khmer Rossi giustiziò più di 80.000 persone tra il 1975 e il 1979. I presunti nemici dello stato (tra cui uomini, donne e molti bambini) furono spediti qui su grossi camion, costretti a scavare da soli le proprie fosse e poi percossi a morte dagli spietati Khmer Rossi, molto spesso solo dei ragazzini di appena tredici anni.

Ogni angolo e ogni albero ricordano gli orrori che qui furono perpetrati, dalla terra affiorano ancora teschi e ossa umane, i denti sono un po’ dappertutto mischiati alle foglie e ai frutti caduti dagli alberi. Ci aggiriamo tra il verde frastornati da tanta violenza; stentiamo a credere che in un posto così bello tante persone abbiano perso la vita in un modo così orribile. Ascoltare le testimonianze dei pochi sopravvissuti è davvero commovente.

Al centro del campo è stato eretto uno stupa buddhista, al cui interno sono custoditi i resti rinvenuti nelle fosse comuni (ossa e crani ma anche indumenti e oggetti personali). La follia omicida e la scelleratezza dei Khmer Rossi sono davanti ai nostri occhi.

Nei killing fields di Choeung Ek il regime dei Khmer Rossi giustiziò più di 80.000 persone tra il 1975 e il 1979

Ci spostiamo poi a Tuol Sleng, la famigerata prigione S-21 dove si stima furono imprigionate circa 17.000 persone negli anni dal 1975 al 1979, tra cui anche alcuni occidentali.

L’anonimo edificio, situato nel centro di Phnom Penh e ora sede del Museo del Genocidio, un tempo era sede di una scuola superiore. Durante il regime divenne un centro per interrogatori e fu trasformato in prigione. Gli edifici furono recintati con filo spinato elettrificato, le finestre sbarrate e le aule trasformate in minuscole celle. Fa effetto vedere le lavagne ancora appese alle pareti delle camere di tortura.

Una volta arrivati alla prigione i detenuti venivano fotografati, spogliati e condotti nelle celle. Nelle celle più piccole i prigionieri erano incatenati alle pareti, in quelle più grandi collettive i detenuti venivano legati insieme con delle sbarre di ferro. Le malattie erano molto diffuse ma raramente i detenuti potevano ricevere cure mediche. La tortura era la prassi per estorcere le confessioni. Ancora oggi nelle camere al piano terra si possono vedere i letti e gli strumenti utilizzati per praticare l’elettroshock.

Le foto dei prigionieri sono oggi appese alle pareti, migliaia di volti, tra loro molte donne e molti ragazzini, a volte solo dei bambini. Sono così tanti che non riesco a sostenere il loro sguardo, sono troppi e vado via veloce, non riesco a guardare tutti questi occhi terrorizzati e a non pensare al loro tragico destino. Mi impressionano molto le celle del primo piano, quelle in legno, le più anguste e le più angoscianti. È impossibile anche solo immaginare quello che i prigionieri furono costretti a sopportare in queste stanze.

Pare che dei circa 17.000 prigionieri solo sette siano sopravvissuti, tra cui Chum Man. Lo incontriamo in cortile dove sta promuovendo un suo libro di memorie. Si fa fotografare con noi e ci sorride con aria serena. E a noi sembra impossibile che un uomo che ha passato tutto questo sia ancora capace di sorridere a degli estranei.

Passiamo la serata al FCC (Foreign Correspondents’ Club), l’ex quartier generale dei reporter stranieri ora convertito in un ristorante affacciato sulle rive del fiume, dove furono girate alcune scene del film “Killing Fields”.

Tuol Sleng, durante il regime, da scuola diventa centro per interrogatori e trasformato in prigione. Gli edifici sono recintati con filo spinato elettrificato, le finestre sbarrate e le aule trasformate in minuscole celle

Stop over di ritorno a Hong Kong
Partenza presto per l’aeroporto. Il nostro volo parte puntuale e arriviamo a Hong Kong nel primo pomeriggio. Abbiamo tutto il tempo per visitare un’altra parte della città.

Camminiamo un po’ per il centro dove si trovano i negozi più belli e poi saliamo sul Peak per ammirare il panorama della città dell’alto. La cima si raggiunge con un tram a cremagliera che sale ripidissima fino alla sommità della montagna di fronte alla baia. La salita è molto suggestiva e il tram passa in una delle zone più belle di Hong Kong.

Arrivati in cima la vista dall’alto è suggestiva, peccato solo che ci sia molta foschia che impedisce di scorgere in maniera nitida lo skyline. È affollatissimo: sia per salire sia per scendere dobbiamo fare una lunga coda. Ceniamo nella città bassa in uno dei più vecchi ristoranti cinesi della città, consigliato da un negoziante di borse poco distante.

Il ristorante è senza fronzoli, direi quasi di una bruttezza desolante ma affollatissimo. Ordiniamo alla cieca visto che i camerieri parlano solo cinese e il menu è quasi incomprensibile. Fortunatamente il cibo che abbiamo scelto è ottimo. Ceniamo in fretta, giusto in tempo per riprendere il treno che ci riporterà in aeroporto per rientrare poi in Italia.

"Hey there, this is the default text for a new paragraph. Feel free to edit this paragraph by clicking on the yellow edit icon" 

Gli altri viaggi…

© Iviaggidelcapo.it di Luisa e Adriano - since 1999

© Iviaggidelcapo.it di Luisa e Adriano - since 1999